Il fantastico mondo di Claire Chalet

17.11.09 Posted In , , , , , , , , , , , , Edit This 4 Comments »
Un curriculum invidiabile che la porta dall'Ecole Nationale d’Art de Cergy, alla partecipazione a mostre ad Atene (1994), Tolosa(1996), tre personali alla Galleria Samy Kinge (1997, 2001, 2005), 8 disegni pubblicati da Michel Poivert sull’ Etudes Photographiques (2000), quattro partecipazioni a mostre sul mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie (2002, 2004, 2005, 2008).
Dal 2006 in Italia, da Roma a Milano, approda finalmente alla Galleria Artopia nella sua prima solo exhibition italiana.

Faire signe significa tracciare un segno, fare un disegno ma anche farsi vivi. Il titolo allude alla facoltà dell’artista di creare, con i suoi tracciati e figure, un’altra realtà, sorprendendola nel suo apparire, nel momento in cui essa si fa segno e ci fa segno di esistere in una dimensione primaria e incantata.

L’universo interiore che scaturisce dalla visione personale dell’artista ricrea un mondo aurorale dove le linee, i cerchi e i colori dipingono piccole creature e paesaggi fantastici, un cosmo infantile dove il tutto può essere interpretato senza errare solo se visto con gli occhi di un sognante, sviscerando quel vivere alternativo dal pervasivo “ritorno al reale” di oggi.

Su questi pianeti dove non esistono leggi fisiche, dove tutto è possibile raggiungibile, piccole anime volanti germina tra i colori pastello dei sui huile sur toile.
Uomini o donne lasciano il posto ad esseri timidi, osservatori sensibili di mondi incantati, dove melodie accompagnano il sogno.

I protagonisti delle rêveries di Claire Chalet si muovono in preda a un’anarchia gravitazionale, aggirandosi, come il piccolo principe della favola di Saint-Exupery, su pianeti dove gli eventi si susseguono impregiudicati, come impregiudicati si dilatano i confini della pittura e del disegno.

“ne lus savoir où l'on se trouve,
ne plus savoir qui l'on est ouce que l'on est,
se laisser porter par le rêve,
se laisser faire,
se dire mais qu'est-ce qui m'arrive?...”
C.C.








19 novembre 2009 - 29 gennaio 2009

Il lato "costruttivo" di Bayrle

14.11.09 Posted In , , , , , , , , , , , , Edit This 5 Comments »
Dal 6 febbraio al 19 aprile, la sua prima retrospettiva al MACBA, nella città catalana che ancora poco lo conosceva. 300 opere.

Biennale di Venezia. Bayrle Thomas? Presente. Anche qui.

A più di quarant'anni dalla rande personale alla Galleria Apollinaire, Bayrle reinterpreta, con una monumentale installazione alla Cardi Black Box, arrivata alla sua quinta mostra dal'apertura.

Nato nella Berlino del 1937, assieme a Sigmar Polke e Gerhard Richter, sono i fondatori del movimento Pop macht in Deutschland.

Bayrle fa storia con la storia, con il restyling dell'installazione della sua prima volta a Milano, proseguendo la sua riflessione sul rapporto tra consumismo e massa, particolare e interezza, percezione e realtà.

Un'esplosione di carta da parati ricopre interamente le pareti della galleria, reiterando il pattern claustrofobico di oggetti della quotidianità massificata. Serigrafie e macchinine completano il tutto. Vedere per credere.

La pornografia, la cibernetica e la quotidianità sono gli elementi base di quelle opere facilmente definibili come sineddoche figurativa.
Quest’uso del dettaglio che in opposizione al tutto, ne diventa parte creativa sembra richiamare la subalternità dell’uomo moderno alla quotidianità, allo Stato, al costume comune, alle ecologie urbane.

“Fin dall'inizio, mi sono sempre sentito come una componente, un dettaglio, un puntino all'interno di un'immensa griglia. Un puntino che, da un lato, può essere riconosciuto come una “totalità in piccola scala”. Dall'altro, rappresenta un minuscolo elemento di una più grande “super totalità”.
T.B.

“Tra il 1957 e il 1958 feci un apprendistato in una fabbrica tessile, quindi ne sapevo di produzione industriale. A me la produzione industriale sembrava una gigantesca rete, composta di processi programmati in simultanea che correvano su frenetiche catene di montaggio. A metà anni Sessanta il mondo dei macchinari nella sua totalità rappresentava già in un certo modo una super matrice, ben oltre le nostre società occidentali. Senza ombra di dubbio pareva che credessimo in una catena infinita di prodotti... disponibili giorno e notte. Percepivo anche che la produzione industriale fosse un qualcosa di fondamentalmente positivo, mi sembrava in uno stadio “anfibolico” tra bombardamento e fascinazione. Veniva visto raramente in modo critico, come invece accadde qualche anno più tardi – o adesso”.
T.B.

Originale riflesso di una società meccanica, pre-indirizzata, riprodotta all’infinito, alla totale perdita di sé, Bayrle coglie l’essenza, il file rouge che lega il capitalismo al consumismo, all’arte.

“Per spiegarlo attraverso gli impermeabili: nel 1967, la produzione di massa era già sovrapproduzione in molti campi. Questo era lampante. I muri, i pavimenti, perfino le strade erano già pieni, coperti completamente di immagini, prodotti, gente, automobili, tutto. Per me questo stato di cose era come il morbillo o la scarlattina che proliferavano sulla “pelle pubblica”. Così mi è sembrato logico incorporare anche i vestiti della gente”.
T.B.

Come Guido Le Noci, a distanza di 40 anni, ancora si rimane stupiti del geniale frutto che, l’ideale di “produzione” presente nell’artista, offre: una serie di impermeabili d’autore per tutte le tasche (o quasi). Da un minimo di 350 € a una limited edition firmata alla modica cifra di 5.000€.
Qui, il dubbio se sia arte o consumismo d’autore cresce; ma che ci si vuole fare: è il mercato bellezza!

Lasciandosi trasportare sulle autostrade, sul nastro trasportatore che corre all’infinito, questa mostra, è il fiore all’occhiello del rapporto tra Milano e l’universo seriale e serializzato di Bayrle. Un universo psichedelico dove all’osservatore è concesso perdersi tra un uomo fatto di camicie e una donna da 1857 tazzine.


30 ottobre 2009 - 23 dicembre 2009
Cardi Black Box

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